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Durante il programma mindfulness per bambini, appena terminato, alla fine dell’intensa mattinata di lavoro e pratica insieme, avevamo un piccolo rito. Costruivamo una specie di casetta. Ci mettevamo dentro alla casetta tutti insieme e io raccontavo una storia. Spesso leggevo una storia già scritta. A volte ne raccontavo una. Era un momento di quiete assoluta. Si sdraiavano, o si sistemavano comodamente sul cuscino e rimanevano immobili (come se fossero alla televisione). Poi, alla fine della storia, ci mettevamo sotto una coperta per salutarci da lì.

Alla fine del programma abbiamo chiesto ai bambini quale pratica avevano trovato più difficile, quale hanno amato di più e cosa si portavano a casa, come esperienza da ripetere. E quasi tutti hanno scritto “prendere rifugio” o “La storia nella casetta”.

Quelle parole, prendere rifugio – che io non ho mai usato con loro – mi hanno commosso. Perchè “prendere rifugio” è una parte, importante, della pratica. Nasce dalla constatazione che avere paura è umano, è parte dell’esperienza di tutti i giorni. E la paura attiva reazioni e comportamenti difensivi che ci allontanano dalla nostra mente originaria. La pratica ha anche questo scopo: offrire un senso di rifugio e protezione per attraversare le difficoltà in modo diverso. Loro – i bambini – l’hanno capito senza che venisse detto. E la pratica è stata, per loro, un modo per prendere rifugio.

Così, ancora una volta, ho imparato da ciò che è più piccolo di me.

© Nicoletta Cinotti 2017

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