Figli nella terra di mezzo: siamo sicuri che genitori e adolescenti siano destinati a non capirsi?
C’è in realtà un fattore comune tra i ragazzi in età evolutiva e i loro genitori: entrambi sono convinti di non potersi capire, di appartenere a due mondi separati. Alcuni attribuiscono questa lontananza al fatto che i genitori non si ricordino più come ci si senta a vivere in una fase così delicata della vita. Di base, da entrambe le parti c’è una chiusura: i ragazzi sono chiusi nel loro “non puoi capire”, i genitori si accaniscono nella loro pretesa di capire.
In questa faticosa lotta, ci si sente soli. Un genitore è convinto che tutti i suoi sforzi siano a senso unico, e di essere l’unico a desiderare che il rapporto funzioni, solo perché è apparentemente l’unico a rivendicarlo. Un ragazzo pensa dall’altra parte che suo padre o sua madre siano le persone sbagliate con cui confrontarsi.
Come si può abbattere questo muro di incomprensione?
La parola “confidenza” deriva da “fiducia”
Qualunque genitore desidera che suo figlio si apra con lui, che senta la libertà di confidarsi apertamente, ma la confidenza non è qualcosa che si può dare per scontato, o qualcosa che viene stabilito a priori da un legame di sangue. Un genitore e un figlio possono sentirsi davvero degli estranei, in certi momenti, e la fase evolutiva è uno di quei periodi in cui è davvero facile che sia così.
Bisogna preparare il terreno, affinché cresca la confidenza. E la parola confidenza deriva da fiducia. Non esiste l’una senza l’altra. Gli anni dell’età evolutiva sono anni in cui i ragazzi hanno bisogno più che mai che sia riposta in loro fiducia: la stessa fiducia di chi sa che, anche se una strada sembra sbagliata, si arriverà comunque in un posto giusto.
Riguardo a questo mi viene in mente un passo del romanzo City di Baricco, in particolare una riflessione di una dei protagonisti su tutte le curve che fanno i fiumi, su quanto ci mettono prima di arrivare al mare. All’inizio le sembra un’assurdità, ma poi capisce che non è un modo assurdo o logico, non è giusto né sbagliato, ma è il loro modo. Questo la porta, con fatica, a tirar fuori un po’ di fiducia:
“…mi fa male vederti navigare curve da schifo come quella di Couverney, ma dovessi anche andare ogni volta a guardare un fiume, ogni volta, per ricordarmelo, io sempre penserò che è giusto così, e che fai bene ad andare, per quanto solo a dirlo mi venga da spaccarti la testa, ma voglio che tu vada, e sono felice che tu vada, sei un fiume forte, non ti perderai, non importa se da quella parte io non ci sarei andata neanche morta, è solo che siamo fiumi diversi, evidentemente… “
Le risposte automatiche
Per lasciare che il fiume scorra, si può provare ad andare oltre a tutti i preconcetti che accompagnano abitualmente questo complicato rapporto.
A volte un figlio rinuncia a chiedere o a raccontare qualcosa perché “sa già” che gli verrà risposto in un certo modo. Oppure un genitore “sa già” che parlerà a un muro e che il figlio non gli darà retta.
Questa dinamica alimenta la lontananza. Non solo: riflette una sfiducia in quello che può realmente accadere.
Il fatto è che, da entrambe le parti, ci si toglie la possibilità di vedere il nuovo, di stupirsi, di cambiare. Tutto resta sempre uguale, nella nostra illusione – quasi mai positiva – di aver già previsto tutto.
Iniziare a riconoscere questi momenti in cui non si dà la possibilità all’altro di sorprenderci, fa sì che ci si inizi ad aprire alle novità; fa sì che pian piano si inizi – o si provi – a guardare davvero la persona che abbiamo davanti, piuttosto che la fotografia sbiadita che le abbiamo fatto.
“Quando ci impegniamo a coltivare la posizione interiore “dell’essere sorpresi” nessuno può sapere cosa accadrà… Sappiamo cosa accadrà solo quando ripetiamo i nostri modelli abituali di risposta automatica.” (daL’imprevisto e la discontinuità)
Il rispetto della privacy
Per costruire questa fiducia è importante anche avere rispetto per i tempi e gli spazi personali. A volte è difficile ricordare che sono tempi e spazi di cui tutti hanno bisogno, anche i figli. La fiducia si vede anche da quanto si riesce a “non invaderli” con il nostro ego: a evitare di voler decidere come si vestiranno, a lasciarli liberi di sperimentare, a riconoscere che ci sono esperienze per cui non c’è bisogno di un report. Non è facile sapersi fidare anche della loro solitudine e dei momenti in cui sono lontani da noi, fisicamente o con il cuore.
La frase “Lasciami stare” è un sinonimo di repulsione, a chiunque dà un po’ fastidio sentirsela dire. Forse significa “Lasciami essere dove sono”. E forse alcune volte può essere vista come una rivendicazione sana di non forzare le cose, di lasciare tempo al tempo: un desiderio di trovare fuori di noi il proprio ritmo naturale e il proprio spazio personale.
Sentirsi a casa
La lontananza viene anche dalla paura di poter alimentare una preoccupazione – se il genitore non esprime fiducia – oppure dalla paura del giudizio. Quando un figlio non sente che c’è fiducia e ha paura di essere giudicato, evita di esporsi, non dice o dice il falso. Dice per esempio quello che “dovrebbe essere” o quello che “dovrebbe essere stato”, mettendo in campo tutte le astuzie della bugia per creare una verità a misura di genitore. Oppure non dice niente.
C’è bisogno per un ragazzo di una sensazione fondamentale, che può accadere solo con la fiducia e l’accettazione: ha bisogno di sentire che lo spazio è accogliente. Ha bisogno di trovare nel dialogo col papà o la mamma uno spazio in cui si può muovere liberamente, con tutte le sue imperfezioni e contraddizioni.
In quel periodo della vita tutto sembra esagerato, estremo. Anche parecchio caotico. Io lo chiamo il “periodo punk” della vita. Generalmente i genitori vedono il mondo in maniera un po’ diversa, e forse quei problemi che ai ragazzi sembrano insormontabili a loro sembrano delle banalità. Probabilmente, a questa età, i ragazzi avranno momenti di confusione, di sconforto. Avranno momenti di rabbia, di rifiuto verso tutto e tutti. In questi momenti è inutile insistere nel voler capire a tutti i costi loro malessere, serve piuttosto accettare la situazione e stare con essa.
Nella consapevolezza che, come tutte le cose, ha una sua durata. Asciugare quelle lacrime senza troppe domande, esserci e basta. Solo allora si sentiranno a casa.
© Silvia Cappuccio 2016
Foto di ©Kyle Pellet / Pellet ©BooBooetmoi ©digitalagency’s
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