Siamo di fronte ad un cambiamento nella qualità dell’intimità che viene vissuta all’interno dei nuclei familiari: ci sono legami e connessioni forse meno intime perchè la nostra attenzione è coinvolta da una molteplicità di stimoli diversi ed è forse indebolita dal nostro surmenage e dalla nostra distrazione. Troppo spesso passiamo il tempo insieme distratti dai cellulari, dalla televisione, dal continuo arrivo di whatsapp o messaggi di vario genere. Magari ci dicono “Ti voglio bene” ma niente può sostituire il dirselo guardandosi negli occhi, oppure dirselo, senza parole, attraverso una conversazione presente e affettuosa.
Essere consapevoli della profondità di questi cambiamenti non equivale all’essere in grado di transitarli facilmente. Forse abbiamo bisogno di nuovi criteri per muoversi in questo sovraffollamento di connessione virtuale che rischia di diventare un impoverimento di connessioni reali. Così, le indicazioni che riporta questo articolo, con le immagini apparse sulla rivista americana Mindful, vogliono essere una indicazione che non riguarda tanto la cura quanto la prevenzione e sono, per questa ragione, rivolte a ciascuno di noi. Non bisogna essere genitori per rendersi conto di quanto l’attenzione divisa tra mille domande e stimoli sia una pratica quotidiana alla quale è necessario rispondere con saggezza, gioco, curiosità e divertimento. Non si tratta di seguire rigorose diete virtuali: si tratta di imparare a relazionarsi con una qualità di informazioni per le quali nessuno di noi è davvero preparato.
Partire da noi
Partire da noi potrebbe essere il primo principio. Mi capita molto spesso di essere consultata da genitori preoccupati dallo smodato uso dei device elettronici dei loro figli che non riescono ad entrare nella stanza dei colloqui senza avere il cellulare in mano. Magari perchè proprio quel giorno aspettano una chiamata fondamentale, magari perchè è scarico, magari perchè qualcuno potrebbe cercarli. Il principio fondamentale potrebbe essere proprio questo: non chiedere ad altri quello che noi stessi non siamo disponibili a fare. Non vale la regola: io ho cose più importanti dei tuoi messaggi con gli amici. Non vale perchè stiamo – implicitamente dicendo ai nostri figli – c’è altro più importante di te. Messaggio che colgono al volo e che traducono subito con “anch’io ho cose più importanti di te“!
La base, in qualsiasi processo di consapevolezza, è personale: la consapevolezza nasce dall’attenzione prima di tutto a se stessi. E, visto che parliamo di relazioni, il primo luogo su cui porre la nostra attenzione è come siamo in relazione con le persone per noi importanti. Su quanto ci è facile/difficile uscire dal pilota automatico. Abbiamo bisogno di nutrire questa attenzione e di farlo con regolarità. Abbiamo bisogno di dare ai nostri figli, alle nostre relazioni significative, tutta l’attenzione che è necessaria, prima di pretendere che loro la diano a noi. E l’attenzione non è questione di tempo ma è questione di presenza. L’attenzione è legata alla scelta di non essere divisi tra due o più oggetti: lasciamo andare il multitasking: non porta da nessuna parte se non a Stressland!
La risposta dell’esperto
Dagli anni ’50 del secolo scorso la psicologia e la pediatria hanno iniziato ad avere un ruolo sempre maggiore nelle scelte educative. Sicuramente questo ha portato enormi vantaggi e, forse altrettanto svantaggi. Il più grande di questi è, a mio avviso, l’idea che la risposta alle domande educative debba essere cercata nei libri, debba essere chiesta a qualcuno che è fuori dalla famiglia. Il primo luogo dove cercare le risposta è dentro di noi. È vero che educare si accompagna ad un enorme quantità di incertezza e indecisione ma non esiste una risposta valida sempre. Ogni relazione è unica, come dice saggiamente Ed Tronick, e, per questa ragione nessun esperto avrà mai tutte le informazioni necessarie per trovare la giusta risposta ad una domanda specifica. Inoltre – e questo è il secondo elemento – i professionisti, psicologi e psicoterapeuti – hanno una formazione orientata alla cura e al trattamento della patologia. Abbiamo pochissima preparazione per il sostegno alla normalità. Sostegno che, a mio avviso, può essere autonomamente gestito dai percorsi di consapevolezza personale. Praticare mindfulness ci mette in condizione di farci le giuste domande – perchè fare la giusta domanda non è affatto semplice – e trovare le giuste risposte dentro di sé e non fuori di sé. Accettando che gli errori sono inevitabili.
Imparare dagli errori
La grande richiesta di pareri degli esperti nasce da una convinzione: quella che gli errori, soprattutto quelli educativi, siano irreparabili. Non è così. La salute di una relazione educativa non è data dalla quantità di sintonizzazione – per sintonizzazione si intende tempo passato in armonia – ma dalla facilità con cui ripariamo gli inevitabili errori. Le ricerche hanno mostrato che circa l’80% del tempo nella relazione madre – bambino nel primo anno di vita è passato “out of tune” , fuori sintonia. Quel fuori sintonia permette alla madre e al bambino di conoscersi e di sperimentare l’emozione più importante del primo anno di vita: la gioia. La gioia è una emozione fondamentale per uno sviluppo sano e nasce dall’esperienza del re-incontro.
Una famiglia consapevole
Una famiglia consapevole nasce proprio qui: dal fermarsi, prendere una pausa, ascoltare profondamente e fidarsi della propria saggezza. Trovare spazi nella nostra giornata per rallentare, prendere un respiro, vedere cosa succede nella nostra mente, per ampliare la prospettiva nel mezzo delle nostre reazioni emotive, per vedere cosa è veramente necessario in quel momento. Perchè le reazioni emotive conducono molto spesso alla punizione. Punizioni che poi facciamo fatica a mantenere perché sono nate da un momento in cui eravamo oscurati da emozioni intense e non riflessive. Trovare uno spazio per rallentare durante le nostre giornate – anche fuori dalle emergenze – è un modo per non alimentare questa modalità. Un modo per coltivare le nostre risposte anziché alimentare – con lo stress e la velocità – le nostre reazioni.
Allevare una famiglia è tutt’altro che semplice: farlo in condizioni di separazione lo è ancora meno. Eppure una famiglia va al di là della separazione: è un vincolo mediato dalla presenza di un legame affettivo con i propri figli. La separazione non interrompe la genitorialità che è alla base della famiglia. Non abbiamo limitazioni all’essere una famiglia: abbiamo stimoli diversi e diverse difficoltà a seconda del contesto in cui ci dichiariamo o siamo famiglia. L’importante è riconoscere quando siamo sopraffatti da questo compito: perchè se ci sentiamo sopraffatti il nostra sistema corpo -mente entra in una modalità difensiva, produce reazioni difensive e crea disconnessione nei legami. Per qualche strana ragione le nostre difese rompono i legami anziché rafforzarli. Essere sopraffatti ci fa tornare ai momenti difficili della nostra storia emotiva infantile e rischiamo di sovrapporla a quella dei nostri figli. Ecco perchè è facile cadere in una modalità insana e reattiva di risposta. Ecco perchè è facile renderla ripetitiva.
La vergogna non aiuta
A quel punto diventiamo facile preda del sentimento di vergogna. Ci sentiamo dei genitori inadeguati o pensiamo che i nostri figli siano inadeguati. Vorrei dire che non è vero né l’una né l’altra cosa. Gli errori non sono caratteristiche di personalità: sono comportamenti conoscitivi. Abbiamo solo bisogno di ripristinare la conoscenza, di sviluppare la saggezza. A volte – nei protocolli mindfulness – faccio fare una visualizzazione in cui invito a consolarsi per le nostre difficoltà come se fossimo la madre che vorremmo essere. E la nonna che vorremmo essere. E questo fa emergere tantissime risorse e risposte che sono già dentro di noi.
Quando ci sentiamo cattivi genitori o genitori non abbastanza buoni – o quando pensiamo che i nostri figli non vanno bene – abbiamo una riserva di possibilità: fermiamoci per pochi minuti, più volte al giorno e consoliamoci come farebbe una buona madre o una buona nonna. Abbiamo bisogno di azzerare le nostre emozioni difensive per lasciar uscire la nostra riserva di saggezza. Allora potremmo scoprire che non tutto merita una risposta. Che se non interveniamo subito alcune cose si aggiustano da sole. E che se non interveniamo all’istante non succede una catastrofe. Non siamo in terapia intensiva: siamo in una relazione. Forse dovremmo fare come in Pronto Soccorso e dare un codice di intervento. I codici rossi – per fortuna – sono davvero rai.
Pratica di Mindfulness: Addolcire, confortarsi, aprire
Pratica Self-Compassion
Quando siamo in un momento relazionale difficile non abbiamo bisogno di reagire: abbiamo bisogno di chiederci, cosa sta succedendo? Cosa potrebbe calmarmi per trovare una risposta a questa difficoltà? Soprattutto con gli adolescenti aspettare a rispondere è un potente “antidolorifico”. Loro sono per la prima volta attraversati da impulsi molto intensi: agiscono senza grande riflessione. La loro capacità di pianificazione, programmazione, e il controllo degli impulsi è sotto pressione per i cambiamenti e la crescita che stanno avendo, una crescita neurologica prima ancora che sessuale. Se reagiamo alimentiamo la loro confusione. Alimentiamo la loro impulsività con la nostra impulsività. E anche gli adolescenti hanno la loro bella dose di stress!
La costruzione della fiducia passa dal rallentare. Forse anche noi abbiamo bisogno di non essere forzati ad agire. Forse possiamo provare Self Compassion per questa sfida – emozionante, gratificante e difficile come una traversata oceanica in barca a vela – e contare di più sulla comprensione delle nostre difficoltà che sull’indagine del perché e percome delle difficoltà altrui.
In queste difficoltà non siamo soli: molti genitori di figli adolescenti le attraversano e le nascondono. Proprio perchè spesso ci vergogniamo delle nostre difficoltà, c’è poca condivisione se non quella – esplosiva – che nasce dalla mancanza di sopportazione. Così, in alcuni momenti potrebbe sembrarci che solo noi abbiamo problemi con i figli. Che i figli degli altri vanno bene a scuola, a casa sono ordinati e non hanno comportamenti a rischio. Sono idee che fanno male e non sono realistiche. Fare i genitori – prima o poi – è attraversare una tempesta. Questo non vuol dire che non si arrivi in porto. Le traversate in solitaria sono più difficili. Avere conflitti con l’equipaggio non è più semplice. Fortunatamente nell’arco dell’esperienza di vita di un genitore i momenti di tempesta sono solo una piccola parte del viaggio. Che ha molte soddisfazioni, molti porti sicuri e un senso della prospettiva che va addirittura oltre la nostra stessa vita.
Pratica di Mindfulness: Cullare il cuore
Essere una coppia
Essere una coppia di genitori non è una esperienza stabile. Punti di vista diversi, diverse modalità di intervento come genitori, difficoltà come coppia, sono tutti elementi che intervengono e che possono trasformare la nostra navigazione in un viaggio in solitaria. Raramente è una buona idea. Raramente le mamme hanno sempre ragione. Raramente i papà fanno bene a lasciare campo libero alle donne nell’educazione die figli.
C’è una barzelletta ebraica che descrive ironicamente lo stile educativo di certe mamme . “Qual è la differenza tra una mamma e un terrorista? Con un terrorista si può trattare!” Molto spesso questo paradosso è vero: le madri prendono campo e i padri si ritirano. Le navigazioni difficili hanno bisogno di un equipaggio. Non è detto che tutti facciano la stessa cosa ma tutti dovrebbero avere la stessa direzione e, soprattutto, avere una direzione che vada al di là dei prossimi 5 minuti. Spesso questo decidere tutto da sole/i è giustificato con il fatto che non è possibile trovare un accordo. Peccato che questa sia la stessa affermazione di molte dittature. Trovare un accordo non significa fare tutti la stessa cosa. Significa avere una direzione comune e percorrere la strada per raggiungerla in accordo alle proprie personali caratteristiche. Non è una minaccia cosmica al futuro dei nostri figli se il padre permette una cosa e la madre no. Diventa un pericolo se l’obiettivo di questa differenza è diverso, se è un modo per creare una alleanza contro l’altro genitore. Siamo diversi, tutte le relazioni sono uniche e si esprimono diversamente. Questo non è un pericolo: fare alleanze contro gli altri lo è. Essere paranoici rispetto alla diversità di intervento è un pericolo, non avere diversità di intervento. I nonni fanno fare cose diverse: non è un pericolo per il futuro. I figli amano la dolcezza delle cose che fanno solo con quella persona. Poi tornano a casa e ci mettono alla prova. Questo è il loro lavoro: il nostro è saper rimanere nella posizione che ci sembra adatta alla nostra relazione. Se tutti facessero quello che vogliamo noi forse sarebbe più facile tenere la propria posizione ma dimenticheremmo che la ricchezza del processo educativo nasce dalla forza di stimoli diversi che sono presenti in relazioni diverse. Nessuna dittatura educativa costruisce uomini indipendenti.
Coltiviamo Micro-Momenti Mindful
A volte passiamo intere settimane facendo cose ma senza condividere davvero dei micro momenti di connessione. Può essere la lettura di un libro prima di dormire, guardare insieme un programma televisivo che ci appassiona entrambi, andare al parco, cucinare insieme. Parlare o cantare in macchina: non è importate l’attività quanto il fatto che è un momento di connessione in cui partecipiamo con uguale interesse entrambi. E, possibilmente, lasciamo che sia il bambino ad avere la precedenza sull’attività, almeno qualche volta. Mi è capitato spesso di sentire bambini che implorano i genitori di fare una certa cosa insieme: cose banali, quotidiane. È una richiesta da ascoltare. Non fate implorare i vostri bambini di fare qualcosa insieme.Vi ritroverete ad implorali voi in un altra fase della loro vita.
Se sono avidi di tempo passato insieme può essere per due ragioni: ne passate troppo poco con loro, oppure hanno qualche difficoltà emotiva che implicitamente chiedono che venga consolata dalla vostra presenza. In entrambi i casi siete necessari. Nel secondo caso potete – dopo essere stati presenti e non in sostituzione della vostra presenza – cercare di capire cosa c’è sotto. Immagino che adesso sorga una critica: quando posso avere del tempo per me? Andate a lavoro, in palestra, a praticare mindfulness quando siete fuori. I bambini tollerano che voi facciate cose fuori casa, anche per molto tempo. Tollerano male che quando siete a casa non siate disponibili. Ma se siete generosi di attenzione non divisa nei loro confronti, progressivamente, impareranno a tollerare anche questo e avrete sempre più momenti per voi anche quando siete in casa insieme. E, a volte, basta un lungo abbraccio appena arrivati per avere quiete per un po’ di tempo. Un lungo abbraccio, non un bacio frettoloso chiedendo com’è andata a scuola. Un lungo abbraccio dura 3, minuti: possiamo farcela anche se siamo stanchi e dobbiamo cucinare. Renderà i compiti domestici più gradevoli anche per noi. Un abbraccio rilassa il corpo, calma la mente e disattiva i sistemi difensivi.
© Nicoletta Cinotti 2016
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