Fai bei sogni è il titolo dell’ultimo film di Marco Bellocchio, tratto da un libro – piuttosto famoso – di Massimo Gramellini. Ne parlo per diverse ragioni: la prima è che – tra i film che ho visto – è uno di quelli che affronta con più aderenza al reale il tema del dolore nell’infanzia. Il dolore per la perdita di un genitore.
Il dolore in infanzia
Il tema della morte da affrontare durante l’infanzia è un argomento molto trattato nella narrativa, anche in quella che si rivolge ai bambini. Non solo perché rimanere orfani è un evento non così raro ma, anche e soprattutto, perché è un tema che spaventa sia adulti che bambini.
Non è questa quindi la novità del film. La novità è che lo presenta in modo reale, o quanto meno realistico. Racconta il dolore ma anche la rabbia. La disperazione e la solitudine. La paura e la ricerca di soluzioni interiori senza indugiare nel pietismo. Massimo è un bambino che emoziona: non è un bambino che fa pietà. Suscita compassione e solidarietà perché il modo con cui affronta (e viene affrontato) il suo dolore è un modo asciutto e reale.
L’evoluzione del dolore
C’è un altro elemento di estremo interesse. Il film ci mostra come diventa – alla luce del suo dolore – quel bambino. E ci rivela una verità tanto scomoda quanto autentica. Troppo dolore ci rende chiusi, diffidenti e poco disponibili ad amare ancora. Cinici. Massimo cresce ma una parte di lui rimane chiusa nel dolore e nella rabbia e non stabilisce relazioni semplici con il mondo, Anche questo è molto realistico. Il dolore spesso ci rende egoisti.
L’ingenuità della negazione
Il film mostra anche come, la negazione, possa diventare una forma di ingenuità. A Massimo non viene detta la verità sulle cause della morte della madre. Viene mantenuto un segreto. Nato per proteggerlo eppure – proprio perché è un segreto che nasconde una dolorosa verità – l’effetto è paradossale. Lo tiene ancora più legato a quell’episodio. Un lutto che non finisce facilmente.
Proteggere un bambino non vuol dire mantenere un segreto o non dirgli la verità: vuol dire saperlo confortare.
© Nicoletta Cinotti 2016
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