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Crescere nella fiducia

Crescere nella fiducia

crescere nella fiduciaTempo fa mi è capitato di vedere un film messicano di cui non riesco a ricordare il titolo. Parlava di un genitore molto appassionato, pieno di energie, che nel rapporto col figlio era in grado di mettere una creatività e una dedizione invidiabili.

Costruiva per lui dei giochi bellissimi, dei posti bellissimi, delle realtà bellissime. Ricordo che all’inizio del film ero divertita, quasi incantata da queste giornate in compagnia del figlio che diventavano qualcosa di meraviglioso e sempre divertente.

A un certo punto del film, la telecamera mostra la cameretta del bambino: tutto è un immenso gioco. E tutto è incredibilmente finto.

Da quel punto in poi cominciano a venir fuori in modo graduale i contorni di quel rapporto apparentemente bellissimo, ma chiuso ed esclusivo.

Ogni giorno il padre impiega tutte le sue forze per costruire una realtà dove lui e il figlio possano stare al sicuro, al di fuori di ogni monotonia, lontano dalla noia e dal dolore. Ma non ogni giorno per un po’, ma ventiquattrore su ventiquattro.

E’ un caso piuttosto estremo, ma può far luce su due particolari fattori di rischio in una relazione: la tendenza all’esclusività e il distacco dalla realtà.

Quel padre voleva proteggere il figlio. Ma il suo desiderio di protezione, che all’inizio si scambia per amore, riflette una sostanziale non-fiducia. In sé stessi. Nell’altro. Nella vita.

L’ansia e la fiducia

La tendenza all’esclusività è connessa ai meccanismi dell’ego: alla necessità di rafforzare la propria influenza sul figlio, di sentirsi sempre indispensabili e “preferiti” – come se il nostro ruolo di base non fosse già abbastanza.

In quest’ottica gli altri rappresentano un pericolo in quanto con la loro presenza potrebbero spezzare questo legame esclusivo. La protezione allora è sinonimo di chiusura, come una madre che tiene stretto il suo bambino e non vorrebbe che nessun altro lo tenesse in braccio.

Ma qual è il pericolo, se il legame è forte? Perché si ha questa ansia che il rapporto possa rompersi da un momento all’altro?

Molti dei nostri comportamenti apparentemente naturali sono dovuti all’ansia, alla paura e quindi alla non-fiducia. Spesso chiediamo ripetutamente “come va”, quando percepiamo un problema, aspettandoci che mettendo pressione nostro figlio rivelerà tutto.

Oppure vorremmo sapere tutto sulla sua vita. Tendiamo quindi a sottoporli a un check continuo, come se in ogni momento i nostri figli dovessero passare da un metal detector e noi, da buone guardie, assicurarci che tutto sia a posto. Lo facciamo, lo scambiamo per amore.

L’ansia a volte ci porta a prendere decisioni per loro, a scavalcare la loro capacità di fare scelte autonome più o meno assennate, non permettendo loro di fare errori e di imparare, o di acquisire fiducia nelle loro capacità.

Per avere fiducia in loro stessi, i nostri figli hanno bisogno della nostra fiducia. E’ una fiducia che non va guadagnata o meritata, ma che deve esistere incondizionatamente, perché un figlio ha bisogno di sapere che le sue idee sono importanti, che le sue scelte giuste o sbagliate vengono prese in considerazione.

Se non lo si scavalca e non gli si mette pressione, si crea lo spazio libero affinchè le cose possano succedere e perché lui si possa aprire alla sua vita.

Una vita degna di fiducia

Nonna: “Figliolo, la vita è una lotta.”

Nipote: “Contro chi?!”

Le preoccupazioni che nutriamo nei confronti dei figli sono legate anche alla nostra visione del mondo come qualcosa di fondamentalmente insidioso. Invece di vedere le situazioni come potenziali terreni di crescita, pensiamo a come combattere o a come sfuggire da tutto ciò che ci torna scomodo.

Nella noia stiamo scomodi, allora costruiamo una cameretta  come quella del film.

E’ scomodo il dolore, allora troviamo delle medicine immaginarie per alleviarlo. Così se il bambino piange, si pensa subito a comprargli qualcosa di nuovo, così magari si dimentica.

In questo modo lasciamo qualcosa di insoluto, delle zone d’ombra. Non permettiamo a queste emozioni di essere vissute  nel momento giusto e contribuiamo a trasformarle in fantasmi.

“Sedersi” con le proprie emozioni significa ascoltarle e accettarle, o meglio, abbracciarle. Perché anche le emozioni più scomode o gli eventi scomodi, che ci fanno sentire impotenti, sono parti di noi e degli altri. Se iniziamo a trattare con onore quello che proviamo, anche i nostri figli impareranno a farlo, invece che a sopprimere le emozioni “negative” ogni volta che si presentano. I bambini sono molto più capaci di noi a lasciar scorrere, se riusciamo a dal loro spazio, se riusciamo a permetterglielo.

Così possiamo ri-acquisire insieme una fondamentale fiducia nella vita, che, da campo di battaglia, diventa campo da coltivare.

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