Crescere figli è uno specchio che costringe a guardarsi in faccia. Se si può imparare da ciò che si vede, si può avere la possibilità di continuare a crescere a nostra volta. Jon Kabat Zinn
Crescere è delicato perché non cresce solo il figlio. Quando nasce un figlio nasce anche un genitore che avrà bisogno di crescere insieme ai propri figli. Siamo consapevoli che i bambini vanno educati. Finora però abbiamo pensato che la regolazione dell’emozioni, lo sviluppo delle funzioni cognitive, la gestione dello stress non fossero aspetti educativi che richiedevano una specifica attenzione. E, soprattutto, abbiamo pensato che crescere riguardasse solo i bambini. Non è così.
Se un genitore non sa crescere insieme ai propri figli e alle diverse richieste che i figli avanzano al nostro essere adulti, qualcosa non si svilupperà. E sarà un vero peccato: perché un figlio – indipendentemente da quanti figli abbiamo – è una occasione unica.
Inoltre nella nostra società qualcosa è cambiato: gli effetti di questo cambiamento non sono sempre positivi né per gli adulti né per i bambini.
Il mito dell’infanzia felice
Crescere, come dicevo poco sopra, è delicato. Siamo più vulnerabili, più esposti alle influenze ambientali e, oggi come oggi, sovraesposti ad una quantità di stimoli che invadono – stressandola – la mente del bambino. Ma non solo quella del bambino; anche il genitore vive uno specifico stress educativo. Appena nasce un figlio sembra che inizi la competizione per essere un genitore perfetto. Peccato però che senza errori non c’è apprendimento. In qualsiasi campo l’apprendimento è costellato di errori e quello che fa la differenza non è il numero di errori ma la nostra capacità di imparare dagli errori.
Spesso cerchiamo di giocare d’anticipo e sostituire gli errori con aumentate possibilità d’esperienza.
Cerchiamo di offrire più opportunità e spesso sottovalutiamo l’effetto che ha il puzzle di impegni a cui li sottoponiamo.
L’economia dell’attenzione di un bambino è diversa da quella di un adulto: è meno capace di dare delle priorità e di escludere gli stimoli secondari o irrilevanti. Basta poco per distrarlo anche se sappiamo che può essere capace di grande concentrazione.
Spazi vuoti per la fantasia
Spesso i bambini sono agitati perché sono stressati. Non hanno sufficienti spazi vuoti per la fantasia. Oppure non hanno sufficiente possibilità di esplorare la loro natura contemplativa. Educhiamo i bambini all’attività e, senza rendercene conto, li indirizziamo verso un fare eccessivo che alimenta l’iperattività e influisce negativamente su aspetti rilevanti per l’apprendimento.
Se non vogliamo che una infanzia felice sia un mito è necessario introdurre elementi a sostegno di una curiosità sana, è necessario insegnare ad accettare che la vita può essere piacevole o spiacevole, è utile offrire strumenti per padroneggiare la propria attenzione e la concentrazione. È necessario insegnare che una attenzione prolungata si trasforma in impegno e che l’impegno produce apprendimento e non solo fatica. Questi sono elementi che sostengono la natura contemplativa e lo sviluppo emotivo e cognitivo del bambino e danno equilibrio alla relazione tra il fare e l’essere.
Cos’è la meditazione? Non è quel che pensi!
È vero che la meditazione può calmare i bambini – e gli adulti – ma non è un’altra forma di rilassamento. La meditazione non è un “bagno caldo” tra candele profumate e incensi o tra paperelle e palloncini.
La meditazione di consapevolezza mette di fronte alle cose: a volte il mare è tempestoso, oppure il tempo è brutto. Anche il nostro umore è imprevedibile come il tempo o il mare. La meditazione insegna a riconoscere che quando il mare è mosso e le onde sono alte la nostra barca può essere molto in movimento. Non possiamo appiattire quelle onde: la meditazione aiuta i bambini ad avere un buon timone per il mare mosso.
Per questo pratiche meditative come la meditazione de “La barchetta” o “La meditazione della montagna” sono molto amate da grandi e piccini: aiutano a “calmare dentro”, piuttosto che pretendere di “cambiare e calmare il mondo esterno”
I genitori reagiscono in maniera saggia?
La mindfulness permette di avere un ancoraggio tale da comprendere ciò che succede fuori e dentro di noi per poter rispondere appropriatamente.
L’idea che la meditazione “svuoti la mente” o “porti altrove”, liberi da affanni e preoccupazioni è un equivoco piuttosto diffuso. Può capitare che la pratica ci conceda libertà dai pensieri; molto più frequentemente concede la consapevolezza dei nostri pensieri e delle emozioni che li accompagnano. Questo accade sia per gli adulti che per i bambini. I bambini che fanno meditazione non diventano piccoli buddha. Sono piuttosto – come dice Kabat Zinn – maestri zen a domicilio che, con la loro creatività ed energia, costringono i genitori a vedere le cose da una diversa prospettiva.
Cosa si “fa” con la meditazione?
La meditazione di consapevolezza o mindfulness – è un invito a fare diversamente le attività della vita quotidiana, sia per grandi che per piccini. È un invito a semplificare le proprie giornate, a rallentare la corsa, a fare una cosa per volta lasciando da parte il multitasking.
La meditazione diventa così uno stile di vita in cui, alla pratica formale fatta sul cuscino da meditazione, si alternano tantissimi momenti di pratica informale. Anzi la vita quotidiana può diventare una continua occasione di pratica.
Se noi siamo molto lontani da questo stile di vita insegnare la meditazione portando i nostri bambini da un insegnante qualificato – che sia o no psicologo – è una missione difficile, forse paradossale. Paradossale perché i nostri figli imparano dall’esempio e, contemporaneamente, ci insegnano qualcosa di nuovo. Dal momento del loro concepimento in poi ci invitano a praticare le qualità base della meditazione: pazienza, accettazione, sospensione del giudizio, compassione, senso della novità, fiducia, equanimità. Tutte qualità che potremmo scoprire di avere in dose limitata e, per amore loro, desiderare che si sviluppino
Come funziona la mente dei bambini
La mente dei bambini si struttura a partire dalle emozioni più frequenti che prova, alle quali tende a dare più importanza rispetto ai pensieri. I suoi pensieri sono magici oppure operativi, poco giudicanti, talvolta anche poco valoriali. I bambini imparano con il tempo a costruire un elenco di priorità, a dare attenzione alle diverse esperienze sulla base dell’importanza e a non lasciarsi trascinare dall’intensità delle emozioni che provano. Una buona integrazione tra la mente e le emozioni – tra lo sviluppo emotivo e quello cognitivo – lo sosterrà nel percorso scolastico al di là degli aspetti strettamente legati al quoziente intellettivo. Bambini estremamente intelligenti ma con difficoltà di regolazione cognitiva o emotiva possono avere percorsi scolastici molto più insoddisfacenti di bambini con quoziente nella norma ma con una buona maturità della funzione esecutiva.
Cos’è la funzione esecutiva e che relazione c’è con la meditazione?
Le funzioni esecutive sono quelle capacità che entrano in gioco nell’apprendimento di nuovi compiti, quando usciamo dalla routine consueta e ci viene chiesto di imparare qualcosa di nuovo: la facilità con cui impareremo dipende dalla maturità delle nostre funzioni esecutive. Sono le funzioni alla base della pianificazione, della creazione di strategie e, più in generale, sono quei processi cognitivi alla base del problem solving: quello che ci fa avere idee nuove e creative.
La funzione esecutiva è strutturata attorno a tre elementi: inibizione della risposta, aggiornamento della memoria di lavoro e flessibilità cognitiva. L’inibizione è la capacità di inibire deliberatamente gli impulsi ed escludere le informazioni irrilevanti.
La memoria di lavoro riguarda l’abilità di mantenere in memoria informazioni per usarle per brevi periodi di tempo e la flessibilità di risposta è la possibilità di attuare comportamenti diversi in base al cambiamento delle regole o del tipo di compito.
Funzione esecutiva e meditazione
Sembra abbastanza intuitivo che questi tre aspetti siano rilevanti per l’apprendimento scolastico; risulta meno chiara la relazione con la meditazione. Durante la pratica l’invito è quello di inibire la distrazione – non sopprimendo gli stimoli ma insegnando ai bambini a seguire un solo stimolo per volta – in modo da esplorare quello che sta succedendo senza trasformarlo immediatamente in azione. Il risultato – nel tempo e con la ripetizione – è un rafforzamento sia della funzione cognitiva che delle abilità di riflessione. Così il gioco è fatto: utilizzando capacità che il bambino ha già presenti – la capacità di attenzione intenzionale, la concentrazione, la consapevolezza – offriamo strumenti che lo rendono in grado di conoscere e regolare i propri percorsi emotivi e cognitivi. Risulta ovvio come questo possa essere uno straordinario supporto anche per i disturbi specifici dell’apprendimento che mettono il bambino in una condizione di grande frustrabilità.
La meditazione non è una tecnica…nemmeno stavolta trucchi magici
Attenzione però: se prendiamo la meditazione come un metodo funzionale ad un risultato – scolastico, emotivo, o cognitivo – abbiamo sbagliato strada. Nella meditazione quello che otteniamo è qualcosa di diverso: troviamo la direzione senza sforzarci, Otteniamo dei risultati abbandonando la performance. Impariamo a partire dall’esperienza e lasciamo che che sia l’esperienza ad indicarci il prossimo passo. E a fare quel passo nel rispetto del nostro ritmo naturale, senza spinte.
Insomma se siamo in cerca di qualche trucco magico sempre pronto, non l’abbiamo trovato. Se cerchiamo invece una strada per crescere insieme ai nostri figli e imparare a farlo attraverso la nostra esperienza quotidiana…siamo nel posto giusto!
© Nicoletta Cinotti 2017
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Questo articolo è tratto dalla prefazione di “Medito e sono felice” Il manuale per iniziare la meditazione a scuola e in famiglia: per bambini più sereni, attenti e creativi, di Bernard Baudouin con prefazione di Nicoletta Cinotti. Acquistabile su Amazon (Clicca per acquistarlo) e nelle librerie italiane.
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