Non è molto tempo che ho capito che mia madre é una persona . MI sorprendo ancora nel rendermi conto che, per tanti anni, l’ho considerata solo mia madre. É stato una volta che l’ho vista ritornare abbronzata e sorridente da una vacanza e la prima cosa che mi ha detto non é stata “come stai?” ma “mi sono divertita moltissimo”.
Ha iniziato a raccontare la sua vacanza, mi ha fatto vedere le foto scattate sul cellulare e solo alla fine mi ha guardato facendomi la fatidica domanda. Devo dire che, in quel momento, mentre realizzavo che era una persona staccata da me e con una sua vita propria ho provato un sincero sollievo. Non ero responsabile della sua felicità.
La generazione di mia madre è una generazione in cui le donne hanno fatto di tutto per nascondere ai propri figli che avevano una vita anche al di fuori della famiglia. Mia madre è andata in pensione prima possibile, ha lavorato con la mente sempre a casa, ai tre figli (che se la cavavano bene anche senza di lei).
Anche se oggi molte donne vivono una piena emancipazione familiare – lavorano, viaggiano, hanno amiche e amici che frequentano – c’é ancora molto pudore rispetto al mostrare questi aspetti ai propri figli. Spesso giustificano il proprio impegno lavorativo dicendo “ lo faccio anche per il tuo futuro” e vivono la rottura del legame matrimoniale come un tradimento, prima di tutto, del rapporto con i propri figli.
La difficile identità delle donne/madri
Se per una donna la costruzione dell’identità non è un processo semplice, per le donne che hanno figli questa costruzione dell’identità diventa solo apparentemente più facile. Da una parte si realizza un progetto di vita – avere figli – ma dall’altra siamo sicure di riuscire a tenere insieme i tanti aspetti dei nostri desideri di donne?
A volte siamo talmente vicine ai nostri figli da non renderci conto che la loro nascita è uno dei più grossi scossoni alla vita relazionale. Spesso l’intimità matrimoniale fatica a prendere un nuovo spazio dopo la nascita di un bambino che, sempre di più, anziché essere un cemento del legame (come accadeva nella generazione di mia madre) diventa una minaccia alla prosecuzione del rapporto matrimoniale. Che sia perché è difficile conciliare l’identità di donna con quella di madre? Tanto difficile che spesso nascono altri rapporti in cui vivere la propria identità femminile mentre a casa si torna essere “mamma con papà”.
Vedere mia madre come una donna
Vedere mia madre come una donna mi ha aiutato a capire davvero che non aveva l’obbligo di essere una madre perfetta. Perché la psicologia – la cattiva psicologia – ha alimentato per molti anni l’idea che una madre debba essere più che sufficientemente buona: che debba essere perfetta. E che da lei dipendano tutti i problemi dei figli. Non è esattamente così. I figli hanno due genitori e sarebbe sano se questi due genitori, oltre che genitori, fossero anche una coppia.
I figli non soffrono perché la mamma lavora: soffrono perché quando torna a casa non è presente. Perché la sua attenzione è sempre divisa tra aspetti in competizione. E non è perché le donne devono fare tante cose: è perché pensano tante cose insieme. Il multitasking femminile è una delle vere tentazioni che rendono le mamme delle meteore che cercano la perfezione.
Se accettiamo che nostra madre era una donna, con i pensieri di ogni donna e i limiti di ogni persona, potremo iniziare ad essere più miti nei nostri confronti e più presenti rispetto ai nostri figli. E i loro problemi non saranno un nostro fallimento ma solo un’occasione di crescita.
I figli vogliono sapere chi sono i loro genitori
I figli sono dei grandi detective: capiscono quello che viene detto e, spesso, anche quello che viene nascosto. Nessun figlio però si sente tradito dal fatto che i propri genitori siano delle persone con sogni, limiti, successi e fallimenti. Hanno bisogno di avere contatto con la realtà. Anche con la nostra smitizzata realtà di esseri umani. Non abbiamo bisogno di trasformarli in confidenti, in una sorta di richiesta di benevolenza. Abbiamo bisogno di mostrare loro la nostra autenticità: questo è più che sufficiente.
© Nicoletta Cinotti 2017
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