Attraversare la linea d’ombra
Il titolo di questa riflessione prende spunto dall’intervento di Paolo Giordano al Festival della Mente dello scorso anno.
Paolo Giordano è un giovane scrittore e giornalista la cui notorietà nasce con il suo primo romanzo, ” La solitudine dei numeri primi” che gli permette di vincere il Premio Strega.
Nel suo intervento, bellissimo, porta una riflessione che si coglie essere personale e collettiva insieme.
Cosa succede alla fine dell’università?
Dopo una vita passata a studiare Giordano, finita l’università, si trova con una identità perduta, quella del primo della classe, e una identità tutta da costruire. Quella della persona che entra nel mondo del lavoro.
Una identità ferita perché, come lui afferma, rinuncia “a fare il dottorato perché il fuori mi faceva troppa paura…” Questa difficoltà a lasciare l’Italia – in un momento in cui tutti magnificano la necessità di espatriare – lo mette di fronte alle tensioni di quella che lui definisce “seconda giovinezza” .
Cos’è la seconda giovinezza
La seconda giovinezza è quella fase della vita, dai venti ai trent’anni e oltre, in cui non si è più adolescenti ma si attraversa una transizione – importante – tra la gioventù e la vita adulta.
Per descrivere questo passaggio Giordano fa riferimento a Joseph Conrad e al suo libro ” La linea d’ombra”, di cui legge l’incipit. Un incipit che vale la pena di riportare:”Solo i giovani hanno di questi momenti. Non parlo dei giovanissimi. No. I giovanissimi, per essere esatti, non hanno momenti. E’ privilegio della prima gioventù di vivere in anticipo sui propri giorni, in tutta una bella continuità di speranze che non conosce pause né introspezioni.Uno chiude dietro a se il piccolo cancello della mera fanciullezza ed entra un un giardino incantato. Là perfino le ombre splendono di promesse. Ogni svolta del sentiero ha una sua seduzione. E non perché sia una terra ignota. Si sa bene che tutta l’umanità ha percorso quella strada. Ma si è attratti dall’incanto dell’esperienza universale da cui ci si attende di trovare una sensazione singolare o personale: un po’ di se stessi. Si va avanti, allegri e frementi, riconoscendo le orme di chi ci ha preceduto, accogliendo il bene e il male insieme – le rose e le spine, come si dice – la variopinta sorte comune che offre tante possibilità a chi le merita o, forse, a chi ha fortuna. Sì. Uno va avanti. E il tempo pure va avanti, finché ci si scorge di fronte una linea d’ombra che ci avverte di dover lasciare alle spalle anche la regione della prima gioventù.(Joseph Conrad, La linea d’ombra).
Ad un certo punto nella vita sentiamo il bisogno di andare oltre, di metterci alla prova. Cerchiamo di farlo in tantissimi modi diversi. E questo, secondo Giordano riguarda solo una fase della vita, sul limitare dei trent’anni. Non c’è un nome per questa fase, che pure segna, in maniera significativa, l’ingresso nel periodo centrale della propria vita.
Attraversare la linea d’ombra
Questo ingresso nella seconda giovinezza è un ingresso scivoloso, difficilmente segnato da un momento preciso, eppure muove profondamente ciascuno di noi e, simbolicamente, rappresenta quel cambiamento che facciamo, sempre, quando cresciamo. Non siamo più come prima. Non siamo ancora chi saremo davvero. E ci troviamo in una zona – d’ombra perché spesso è oscura e dolorosa – che dobbiamo attraversare se vogliamo vedere di nuovo la luce. Certo possiamo tornare indietro, e molte volte lo facciamo. Ma più volte torniamo indietro e più sentiamo di perdere valore, e di essere sconfitti dalla vita. È in questa fase che si può maggiormente incontrare quella che Lowen chiama “paura di vivere”.
La paura di vivere
Ma cos’è questa paura di vivere? Lasciamo rispondere a Lowen “Per un individuo, avere una vita più intensa o più sensazioni di quanto non sia abituato è fonte di paura, perché ciò minaccia di schiacciare il suo Io, di oltrepassare i suoi limiti e di indebolire la sua identità. Essere più vivi e avere più sentimenti fa paura. Una volta mi sono occupato di un giovane che presentava una forte insensibilità corporea. Era teso e contratto, gli occhi erano spenti, il colorito terreo, la respirazione superficiale. Grazie a una respirazione più profonda e ad alcuni esercizi terapeutici, il suo corpo acquistò una maggiore sensibilità. Gli occhi gli brillavano, il colorito si ravvivò, provò sensazioni stimolanti in alcune parti del corpo e le gambe cominciarono a vibrare. Ma allora, mi disse: “Questa è troppa vita. Non posso resistere”.
La paura di vivere è quello spavento che ci coglie ogni volta che ci troviamo di fronte a “qualcosa che ci rende grandi”
Può essere fare un dottorato all’estero, o meditare, o fare un viaggio da soli. E non importa a quale età la proviamo. La paura rimane la stessa. E ogni volta che cresciamo, si disegna davanti a noi una linea d’ombra da attraversare.
Certamente a trent’anni far vincere quella paura è più pericoloso che a 60 perché vuol dire non costruire, non rischiare, vuol dire rinunciare a mettersi in gioco. Ma la paura ad attraversare la linea d’ombra rimane sempre. Ed è la paura di crescere e diventare chi siamo veramente. Vuol dire realizzare noi stessi, compiere quell’impresa che rende più significativa la nostra vita e che ci permette di sentirci vivi e padroni di se.
“Questa estate nella mia casa in sud Italia ho ricevuto – racconta Paolo Giordano – un albero di carrubo. Me l’hanno regalato e io ho passato diverse ore prima di decidere cosa fare. Normalmente avrei chiamato un giardiniere perché lo trapiantasse. Ho passato quasi un pomeriggio intero a guardarlo. Ad un certo punto ho deciso di prendere la zappa e scavare una buca. Un terreno pieno di rocce. Per tre ore ho scavato dentro la terra e ho trapiantato l’albero.Ho provato una grande gioia e soddisfazione. Non perché ho trapiantato l’albero ma perché ho rotto l’idea che ho di me di non saper fare nulla di pratico.”
Questa è la grande gioia che proviamo quando attraversiamo la linea d’ombra della paura e non ci accontentiamo di una visione statica e limitata di noi.
Il crollo
Spesso il momento che precede l’attraversamento della linea d’ombra è accompagnato da una sensazione di crollo. Quello che sapevi prima non è più sufficiente. Le tue convinzioni su di te si ridimensionano. Scopri che diventare grande è difficile e nello scoprire questa difficoltà ti senti piccolissimo e vulnerabile.Questa sensazione di svuotamento può arrivare quando ti rendi conto che l’impatto con la vita vera è qualcosa di diverso. Spesso è proprio una sensazione fisica di collasso e di vuoto. Quel vuoto che ci fa tanto paura e che in meditazione ricerchiamo proprio come condizione per la crescita.
Al contrario di quello che si può pensare sono proprio le persone con più strumenti cognitivi che possono avvertire di più questo tipo di crollo. A volte prende la forma di un senso di futilità rispetto all’impegnarsi, che si accompagna alla sensazione di doverlo fare.
Eppure quel crollo, quel senso di fallimento è importante e necessario “Il fallimento ha sempre avuto un effetto positivo su di me – dice Lowen – è stato il mio migliore maestro: mi ha costretto a fermarmi e a considerare il mio comportamento autodistruttivo.Mi ha dato la capacità di cominciare da capo con tutta la vitalità e l’entusiasmo che comporta un nuovo inizio. Accettando il fallimento mi sono liberato dalla lotta per superare il senso interiore di fallimento. Accettare il fallimento non è sintomo di rassegnazione, ma di accettazione di sé. Accettare il fallimento libera l’energia legata alla lotta per il successo e l’autoaffermazione, rendendo così possibile la crescita.”
I riti di passaggio
Un rito di passaggio è una pratica che segna il cambiamento di un individuo da uno status socio-culturale ad un altro, cambiamenti che riguardano il ciclo della vita individuale. Spesso nelle società tribali viene affrontato attraverso un rito di iniziazione . Nella nostra cultura non abbiamo più veri e propri riti di iniziazione anche se, ovviamente, abbiamo anche noi molti momenti di transizione. Momenti in cui, per l’appunto, siamo chiamati ad attraversare la linea d’ombra. Possono essere avvenimenti come la nascita, la morte, il matrimonio o la menopausa, un cambiamento lavorativo o la pensione o anche altre situazioni connesse o meno ad avvenimenti biologici.
I riti di passaggio permettono di legare l’individuo al gruppo, ma anche di strutturare la vita dell’individuo a tappe precise, che offrono una percezione tranquillizzante nel rapporto con la sua temporaneità e con la sua mortalità. Sappiamo, nel rito di passaggio, dove stiamo andando e tutta la nostra tribù ci accompagna e sostiene
Arnold Van Gennep (1873-1957), un etnologo, descrisse nel 1909 le tre fasi che compongono un rito di passaggio.L’individuo si separa dal gruppo, attraversa una fase di isolamento ed emarginazione e, infine, si ri-aggrega ad un gruppo nuovo.
Spesso queste tre fasi sono quelle che attraversiamo quando avviene in noi un cambiamento e una crescita. Ci separiamo da qualcuno o qualcosa, passiamo un periodo di solitudine, a volte anche di depressione, e poi, lentamente costruiamo qualcosa di nuovo.
La separazione, quella in cui ci stacchiamo da qualcosa o da qualcuno, è la più difficile perché frequentemente si accompagna ad un senso di tradimento.
Queste tre fasi sono presenti anche nei percorsi terapeutici di gruppo o nei ritiri di meditazione: ci stacchiamo, lasciamo i nostri luoghi abituali per andare in un luogo altro, dove, con un gruppo di persone che condividono la nostra stessa esperienza, ci “isoliamo”, per poi tornare, diversi, ad una nuova aggregazione. Quella del nostro quotidiano.
Non credo che sia possibile rinunciare a queste tre fasi dell’iniziazione: possiamo cambiare la forma – trasformarla in un ritiro o in un gruppo – ma ci è necessario separarci, isolarci per poi, infine, tornare alla socialità.
Il tradimento
Il tradimento, dice Hillman, è l’altra faccia dell’amore.
Quando amiamo, e solo quando amiamo, siamo esposti al tradimento: dei nostri genitori, degli amici, dei partner. Non possiamo essere traditi dagli estranei.
Per iniziare a vivere ogni persona ha bisogno di separarsi e allontanarsi dall’immagine che lui stesso e gli altri, avevano di lui. Questo può essere vissuto come un tradimento necessario per poter diventare se stessi.
Spesso sono le sensazioni, di colpa – se il tradimento l’abbiamo agito – o di rabbia – se il tradimento l’abbiamo subito,che alimentano l’isolamento della seconda fase di transizione.
Un isolamento che può essere una fase davvero rischiosa perché termina solo quando impariamo a costruire una nuova realtà di aggregazione.
La fase di aggregazione è messa in pericolo oggi dalle difficoltà sociali ed economiche che si possono incontrare. Rispetto alla seconda giovinezza, una volta l’aggregazione, ovvero l’ingresso nel mondo adulto, avveniva con il matrimonio o con il lavoro. Due possibilità che oggi sembrano sempre più complesse e che, nella loro difficoltà a realizzarsi possono condannare ad una adolescenza perenne.
Uscire dalla paura di vivere
Uscire dalla paura di vivere è la naturale risposta all’attraversamento della linea d’ombra. Se evitiamo di attraversarla, alimentiamo in noi la struttura della paura e finiamo per rimanere sempre più bloccati.
A volte può essere necessario chiedere aiuto, per affrontare questa transizione. La terapia, la meditazione, sono due ottimi strumenti per superare le infinite linee d’ombra che attraversiamo durante tutta la vita. Sono due strumenti che ci forniscono le tre fasi dell’iniziazione. Insieme ci permettono di separarsi, di sperimentare l’isolamento – attraversato durante la meditazione individuale – e le vicissitudini del ricongiungersi.
Il profondo lavoro della consapevolezza non è solo personale. Si svolge anche nella relazione, (…) la relazione è una forza potente per il risveglio e sostiene dinamicamente ognuno di noi nel processo della consapevolezza. La società diventa più armoniosa quando gli individui e i gruppi lavorano insieme per la consapevolezza.Gregory Kramer
© Nicoletta Cinotti
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